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ACQUA: ambiente e società - LA GESTIONE IDRICA IN ITALIA




INTRODUZIONE

La Terra è ricoperta per 2/3 da acqua, ma di questi solo il 2,5%, ossia l’acqua dolce, è utile per la vita umana. L’acqua dolce si trova nei fiumi, nei laghi, nei ghiacciai, nelle sorgenti e nelle falde acquifere e costituisce una risorsa rinnovabile, in quanto è continuamente messa in circolazione grazie al ciclo idrologico. Troppo spesso, però, si dimentica che l'acqua non è una risorsa incrementabile: lo spreco e la pressione sulle risorse idriche da parte di una popolazione sempre più numerosa e vorace, causano siccità e carenza di acqua, tanto che 1 miliardo e mezzo di persone non dispone di sufficiente acqua potabile. L’emergenza idrica investe soprattutto vaste zone dell’Africa e dell’Asia, ma sono anche i Paesi ricchi e sviluppati come l’Italia a dover fronteggiare la crisi d’acqua. Tra le cause di ciò è necessario ricordare che l’uomo spreca ben il 45% dell’acqua prelevata a livello mondiale, per via di metodi di irrigazione poco efficaci e dell’inefficienza delle reti di distribuzione idrica.

Tale malfunzionamento delle reti di distribuzione costituisce un grave problema in Italia, dove ogni anno il 42% circa dell’acqua immessa in rete viene persa. In aggiunta, nel Paese vivono ancora 2 milioni di abitanti senza impianti di depurazione o fognature, con conseguenti impatti negativi sulle condizioni igienico-sanitarie delle aree interessate.


Gestione dell’acqua in Italia

  • Erogazione dell’acqua potabile

TABELLA 1


La tabella 1 offre una visione d’insieme sui volumi (in litri) di acqua potabile erogata al giorno per ciascun abitante nel 2018, ossia sulla quantità d’acqua che effettivamente arriva nelle reti comunali.

Il volume d’acqua erogata a livello nazionale è, in media, di 211 litri ogni abitante: i 4,7 miliardi di metri cubi d’acqua distribuiti in Italia si dividono in modo abbastanza eterogeneo sul territorio, con i valori più alti nella parte nord-occidentale, dove ogni individuo riceve mediamente 257 litri d’acqua potabile al giorno. Leggermente sotto la media sono le erogazioni del Sud, delle Isole e del Centro: in quest’ultima zona si registra il minor numero di litri per abitante al giorno (183).


Le differenze nei numeri, seppur non molto elevate, dipendono dalla diversa condizione delle infrastrutture di distribuzione idrica e dalla loro differente gestione. Nelle regioni montane, ad esempio, la diffusione di fontanili può risultare in erogazioni molto efficienti, poiché in queste sorgenti l’acqua sgorga direttamente dal suolo in modo naturale: possono essere così spiegati i numeri sensibilmente più alti in regioni del Nord come la Valle d’Aosta (446 litri per abitante al giorno), che alzano la media dei volumi erogati nell’Italia settentrionale. Altro fattore da considerare sono le disuguali richieste d’acqua nelle varie zone: aree con maggior attrazione turistica necessitano di un maggior apporto idrico per fornire gli hotel e parchi.

  • Perdite dell’acqua immessa in rete

L’acqua immessa in rete è la quantità di acqua addotta da acquedotti o da altre sorgenti di prelievo per essere distribuita nelle reti comunali. Essa è dunque diversa dall’acqua erogata, precedentemente spiegata.




Il grafico 1 illustra le quantità di acqua potabile immesse ed erogate nel 2012, nel 2015 e nel 2018, esplicitandone gli andamenti con due linee di tendenza.

L’acqua immessa nel 2018 è diminuita del 2,08% rispetto al 2012, mentre per l’acqua erogata il cambiamento è stato più significativo (-9,24%), come suggerisce la maggiore inclinazione della linea di tendenza (linea rossa).

Tali diminuzioni possono essere dovute ad una minore domanda di acqua nel 2018 rispetto al 2012, che a sua volta potrebbe essere causata da una maggiore consapevolezza e attenzione nel consumo idrico.

Il grafico 2 permette di analizzare meglio lo scarto tra acqua immessa e acqua erogata, e quindi di focalizzarsi sulla porzione di acqua immessa nelle reti comunali che viene persa (principalmente durante la distribuzione), mettendo in evidenza la percentuale delle perdite. É importante ricordare che se non ci fossero perdite in distribuzione, la quantità di acqua immessa sarebbe comparabile a quella erogata, se non fosse per altri due fattori analizzati successivamente (grafico 3).

Nonostante il totale (100%) non sia uguale per tutti e tre gli anni (2012: 8.356.851 migliaia di metri cubi, 2015: 8.320.061 migliaia di metri cubi, 2018: 8.182.729 migliaia di metri cubi), si può comunque affermare che le percentuali di perdite rispetto all’acqua potabile immessa si sono mantenute quasi costanti dal 2015 al 2018, mentre nel 2012 erano leggermente inferiori.


Ciò è probabilmente dovuto alla vetustà degli impianti di distribuzione, la quale amplifica la possibilità di perdite e che ovviamente è aumentata nel corso degli anni.

Il grafico 2 mostra che nel 2018 si è perso il 42% dell’acqua immessa in rete: tale percentuale può essere ulteriormente analizzata e suddivisa in tre componenti.


Nel grafico 3 la totalità (100%) rappresenta i 3,4 miliardi di metri cubi d’acqua immessa in rete, che si compongono delle seguenti tipologie: le perdite in distribuzione, ossia il fattore fisico legato al volume di acqua che fuoriesce dalle tubature a causa di corrosione, rotture, giunzioni difettose e vetustà degli impianti; le perdite fisiologiche, che riguardano principalmente il fenomeno dell'evaporazione durante processi come la potabilizzazione e la decantazione, durante i quali l’acqua è esposta all’aperto; le perdite legate sia ad errori di misura di contatori imprecisi o malfunzionanti sia ad utilizzi non autorizzati (allacci abusivi).


Le perdite in distribuzione sono direttamente proporzionali alla lunghezza del tragitto percorso dalle tubature, perché più è estesa la rete più è la probabilità per l'acqua di incontrare giunti difettosi.

Dal 2014 il numero di famiglie italiane che denunciano l’inefficienza del sistema di distribuzione dell’acqua, in maggior numero nel Centro e Sud Italia, è cresciuto del 10%. Nel grafico seguente, riferito al 2018, è possibile studiare le ingenti perdite d’acqua legate a tale inefficienza.



Il grafico 4 classifica le perdite idriche dei volumi immessi in rete dei comuni in base al distretto idrografico, alla divisione tra comuni capoluogo e non, alla dimensione demografica.

Per quanto riguarda le perdite in base al distretto demografico, circa il 40% sia dei comuni dell'Appennino Centrale sia di quello Meridionale perde più del 55% dell’acqua immessa. Questa grave situazione si ripresenta in Sardegna in una percentuale leggermente inferiore (35%). Una situazione infrastrutturale decisamente migliore è quella dei comuni dell’Appennino Settentrionale e anche delle aree limitrofe al fiume Po: in entrambe le realtà solamente nel 13% dei comuni si registrano perdite dei volumi immessi in rete superiori al 55%. Inoltre, il distretto del Po si contraddistingue per la maggiore percentuale di comuni con basse perdite: il 28% dei comuni ha perdite inferiori al 25% dell’acqua potabile immessa in rete.

Sulla base della divisione tra comuni capoluogo e non, questi ultimi registrano la più alta percentuale di basse perdite (nel 24% dei comuni non capoluogo si hanno perdite inferiori al 25%), che è la stessa dei comuni con meno di 50 mila abitanti, mentre è nei capoluoghi di provincia che si trova la minor quota (12%) di comuni con perdite maggiori del 55%.

Questo è conseguenza del fatto che nelle città metropolitane si trovano impianti più monitorati e avanzati tecnologicamente.

Complessivamente, in Italia il 43% dei comuni registra perdite inferiori al 35% dell’acqua immessa in rete, mentre si ha più del 30% comuni con perdite dal 35% al 55%, e il 23% restante perde più del 55%.



  • Impianti di depurazione

Dal 2018 in Italia gli impianti di depurazione delle acque reflue urbane sono 17897 e depurano il 95,7% dei comuni (completamente o parzialmente). Essi sono necessari per ridurre l’inquinamento dei corpi idrici e per garantire salute e igiene alla popolazione.


Il grafico 5 analizza la distribuzione di questi impianti sul territorio nazionale: più di un terzo del totale è situato nelle regioni nord-occidentali e circa un quarto è invece situato nell’area nord-orientale. Le Isole ospitano la minore percentuale di impianti di depurazione (4,5%, pressoché un ventesimo del totale).

Le disparità tra le percentuali sono dovute sia alla diversa densità demografica delle zone in questione, in quanto il Nord-ovest ospita 16 milioni di abitanti mentre le Isole 7 milioni, e dunque è normale che nelle zone più popolose ci siano più impianti, sia al diverso sviluppo industriale, che in media risulta più all’avanguardia nelle regioni settentrionali.

Gli impianti di depurazione si differenziano per tipo di trattamento in primari, secondari e terziari.

Il trattamento primario prevede la rimozione dei solidi di grandi dimensioni, come carta e ramoscelli, e la decantazione di ghiaia.

La depurazione secondaria coinvolge microbi, principalmente batteri, che decompongono i materiali sospesi nell’acqua.

Il trattamento terziario necessita di un periodo di assestamento, durante il quale i microbi e qualsiasi altro materiale rimanente si depositano per formare fanghi. Questi ultimi possono essere rimessi nella fase secondaria per aumentare la popolazione di microrganismi oppure possono raggiungere uno stato anaerobico in cui i batteri decompongono la materia di scarto in metano, che viene bruciato nelle fognature per fornire energia ai macchinari. L’acqua che esce dall’impianto subisce degli ulteriori trattamenti, al termine dei quali l’acqua è pronta a tornare nell’ambiente o ad essere riutilizzata dall’uomo.





La tabella 2 offre i numeri degli impianti di depurazione primaria, secondaria e terziaria nelle varie aree del territorio italiano e il grafico 6 ne illustra le percentuali e, in aggiunta, fornisce una visione d'insieme sulla situazione nazionale (ultima barra orizzontale).

Nel Nord-ovest è presente il maggior numero di impianti sia primari che secondari: quelli sono 4.268 e costituiscono il 66,02% degli impianti nord-occidentali, questi sono 1.702 (26,33% degli impianti nord-occidentali).


Anche il Centro ospita un importante numero di impianti secondari (1460), che costituiscono il 41,10% dei suoi impianti totali. Nell’area nord-orientali si trova il maggior numero di impianti terziari (673), mentre nelle Isole tale quota è la più bassa: sono solo 180 gli impianti di depurazione terziaria, e ancora meno quelli di depurazione primaria (140).

Complessivamente i trattamenti primari sono i più diffusi nel territorio italiano (55,79%), seguiti da quelli secondari. Gli impianti terziari sono i meno diffusi e costituiscono in media il 12,9% delle strutture di depurazione nazionali.

Il fatto che i trattamenti terziari siano poco numerosi rispetto alle altre due tipologie potrebbe essere dovuto al fatto che nella maggior parte delle strutture non è richiesta un’altissima capacità di abbattimento dei carichi inquinanti, per cui i trattamenti primari e secondari si rivelano sufficienti.

Non tutti i comuni italiani godono della presenza di impianti di depurazione: sono 339 i comuni (1,6 milioni di residenti) privi di tale servizio. Si tratta di comuni di dimensione demografica medio/piccola e localizzati soprattutto in zone rurali o poco popolate. Solo nove di questi comuni sono situati in zone densamente popolate (otto in Campania e uno in Sicilia).



Il grafico 7 esamina la localizzazione dei comuni privi di impianti di depurazione, attribuendo a ogni area geografica una fetta percentuale.

Nel Mezzogiorno è localizzato il 66,4% di questi comuni, mentre la percentuale più bassa (9 comuni) è attribuibile al Nord-est.

La causa principale degli alti numeri dei comuni privi di depurazione idrica nel Mezzogiorno è l’inattività di molti impianti poiché sotto sequestro o in corso di ristrutturazione. Inoltre in tutto il Paese è frequente la presenza di aree isolate e poco popolate in cui il trattamento dei reflui urbani è svolto in forme autonome.

In Emilia-Romagna, Umbria e Valle d’Aosta il servizio di depurazione delle acque reflue è attivo in tutti i comuni.

  • Reti fognarie

Per rete fognaria si intende l’insieme di canalizzazioni sotterranee che convogliano le acque reflue urbane lontano dai centri urbani, per poi smaltirle in mare o in corsi d’acqua superficiali dopo i dovuti trattamenti (anche per mezzo di depuratori). Un impianto efficiente di fognature è un requisito fondamentale per la salute e la qualità della vita di ogni cittadino, perché riduce il rischio di malattie infettive e la diffusione di cattivi odori.

Dal 2018 il servizio pubblico di fognatura comunale è attivo nel 99,5% dei comuni italiani, in maniera completa o parziale.

Questo servizio è totalmente assente in 40 comuni, dove abitano in tutto 394 mila abitanti.



Dal grafico 8 si osserva la distribuzione percentuale dei comuni privi di reti fognarie sul territorio nazionale.

Si noti che tali comuni sono situati per il 62,5% in Sicilia, di cui 22 comuni su 25 sono in provincia di Catania. Alta è anche la percentuale dei comuni nord-orientali, dove 10 comuni sono privi di servizio fognario.

Spesso avviene che nei comuni in questione ogni struttura è dotata di sistemi di smaltimento di acque di scarico autonomi, oppure la rete fognaria è presente ma non ancora in uso, in quanto non collegata ad un depuratore.

Sarebbe interessante provare a individuare una correlazione tra la mancanza di servizi di depurazione e quelli di fognature, i quali sono in stretto contatto nel ciclo idrico delle acqua di scarico, ma ciò non si riesce a dedurre dai dati raccolti.


CONCLUSIONI e RIFLESSIONI PERSONALI

L’argomento della gestione idrica è di capitale importanza al giorno d’oggi, sia a livello nazionale che mondiale, in quanto è dovere di ogni cittadino utilizzare con consapevolezza questa risorsa, tanto importante quanto precaria.

I dati studiati nella relazione dimostrano che è necessaria una modernizzazione delle infrastrutture del territorio italiano, al fine di ridurre gli sprechi e garantire che l’accesso ad acqua pulita sia un diritto di tutti e non un privilegio di pochi. L’unico modo per rendere possibile tutto ciò è intraprendere uno sviluppo sostenibile, che mira alla salvaguardia della salute di ciascun individuo e del futuro delle prossime generazioni.

L’esigenza di uno sviluppo sostenibile deve nascere prima di tutto nella coscienza di ogni cittadino, in maniera particolare nei giovani: personalmente mi ritengo una ragazza molto attenta a questa tematica, perché avverto che in questo mondo sotto pressione ci sia veramente bisogno di una svolta verso un’economia più verde e soprattutto a lungo termine. Perciò ho deciso di trattare il tema della gestione idrica nel mio Paese: applicare la statistica a tale ambito mi ha messo a conoscenza delle molteplici problematiche riguardo all’acqua in Italia. In seguito alla raccolta delle informazioni mi sono resa conto di abitare in un Paese che deve migliorare, e che sicuramente ci può riuscire, grazie all’aiuto di giovani che si interessano alla tutela del territorio e dei suoi abitanti.


FONTI

Agenda 2030, Obiettivo 6: https://asvis.it/goal6


Marta Corradini, 4P



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