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Ettore vive a Mariupol



Ettore nel 2022 vive a Mariupol, sotto le bombe che lì piovono come acqua nei più classici dei temporali estivi. Ettore nel 2022 vive in Siria, con gli spari sotto casa, e cammina tra le macerie verso un futuro totalmente incerto ed invisibile. Ettore nel 2022 vive a Gerusalemme, va bene pure in un bell’appartamento, in centro, ma sa che qualora gli venga voglia di andare al ristorante, o abbia bisogno di prendere un autobus, potrebbe non tornare più a casa.


A casa, sì, dove ogni Ettore in giro per il mondo (e, ahinoi, ce ne sono tanti) viene aspettato dalla sua Andromaca e dal suo Astianatte. Lo aspettano tra sospiri e lacrime, che provano con estrema difficoltà a respingere, tra mille pensieri bui che corrono veloci verso gli scenari più tetri e spaventosi, tra le notizie che passano in TV e che regolarmente raccontano solo di morte, pericolo, distruzione. D’altronde, non era così anche per l’Andromaca di Omero? Costretta a dire addio alla persona che più amava al mondo, disperata, la supplicava di restare, piangeva, ma lo stesso cercava di trattenere le lacrime scalpitanti e addirittura rideva, tra un singhiozzo e l’altro, guardando il suo bambino spaventato alla vista del padre; allo stesso modo, Andromaca ha solo pensieri negativi: sa con certezza che Ettore non sopravviverà, che morirà in battaglia, che non lo rivedrà più, e di conseguenza è consapevole del terribile destino che la vita le sta riservando, un destino composto da sofferenza, nostalgia e schiavitù. E ancora, presagiscono dolore le notizie che le arrivano, non dalla TV come oggi, ma le voci giravano anche allora e non facevano altro che narrare dell’incredibile forza degli Achei, del valore di Achille, soffocando così anche l’ultima, flebile, fiamma di speranza rimasta accesa.


Andromaca, nel noto passo dell’Iliade, sta per perdere tutto ciò che ha, tutto quello che le rimane. Ettore, infatti, è per lei marito, padre di suo figlio, punto di riferimento, nonché ancora a cui aggrapparsi dopo tante tragedie e perdite umane, e lo scenario di una vita senza di lui è uno scenario di desolazione, privo di qualsiasi certezza su cui far affidamento, uno scenario che mostra un’esistenza svuotata dei suoi aspetti più importanti, degli affetti, dei cari, e per questo forse neanche definibile vera vita. Perché, se ci si pensa un attimo, come la si può considerare vita, se derubata della pace, se le hanno strappato via con brutale violenza la serenità, la gioia, le piccole cose che ci rendono felici e che rendono il vivere vero vivere? La stessa cosa va detta guardando al nostro tempo, alla nostra triste Iliade. Chi scappa dal proprio paese, spesso dalla mattina alla sera, con solo uno zainetto sulla schiena, sta per perdere, proprio come la famiglia di Ettore, tutto quello che ha. La propria casa, sempre che sia rimasta in piedi, viene abbandonata, lasciando dietro le spalle il luogo dove si è vissuto per anni, insieme a quegli oggetti che evocano ricordi, e cosa compone maggiormente una vita se non i ricordi delle esperienze vissute e delle persone incontrate? Persone, città, sicurezze salutate, forse per sempre, e guardate scomparire, diventare sempre più piccole contro l’orizzonte che scompare nell’angoscia, nella paura e nell’incertezza. Da questo momento, drammatico come nessun altro, non si torna più indietro. Così come non tornerà più indietro Ettore, che ha deciso di scendere in battaglia, consapevole di andare incontro alla morte, e non tornerà più indietro Andromaca, rimasta sola, persa, svuotata e in balìa dei nemici, degli aggressori. Quante persone in balìa degli aggressori popolano all’inverosimile le pagine del 2022, coloro che attraversano tra la neve e i proiettili confini, frontiere, muri, affrontano onde, solitudine, odio e fuggono straziate verso una meta lontana, indefinita, forse inesistente e che forse non raggiungeranno mai.


Scavata dentro, sola come non mai, Andromaca è costretta dagli eventi e dal coraggioso senso del dovere (e dell’onore) del marito ad accettare di cadere nell’impietosa trappola tesale dal Destino infame e tanto caro ai Greci. Non ha più altra strada da percorrere se non quella della preghiera e della rassegnazione, la strada che sa che la porterà a piangere l’amato caduto, e con lui sorrisi e libertà. Anche oggi, se Omero tornasse in vita e decidesse di riscrivere il suo poema, questi aspetti brutalmente umani non gli risulterebbero cambiati. E infatti non lo sono affatto: i passi dell’opera continuerebbero a raccontare di libertà strappate dai capricci, dalle manie e dalla sete di potere e fama dei più forti, di coloro che occupano prepotentemente i vertici della società (insomma, i basìleis del ventunesimo secolo), della violenza che prevale sempre e comunque, di uomini costretti a lasciare mogli e figli per imbracciare un’arma, di mogli e figli rapiti, torturati, uccisi. Leggeremmo ancora oggi di spargimenti di sangue senza freni, di padri senza figli e figli senza padri, con però una dose nettamente maggiore di discriminazione, odio etnico e di uomini che, come si dice, dalla storia hanno imparato solamente che l’uomo dalla storia non ha imparato niente. Omero del Medioevo Ellenico ci racconta del cavallo di Troia, oggi lo sostituirebbe con un missile nucleare; ci racconta di soldati caduti, oggi si soffermerebbe maggiormente su civili inermi massacrati; ci racconta, soprattutto, di Andromaca ed Ettore che si dicono addio, come milioni di Andromaca ed Ettore continuano a dirsi addio, separati da un mondo che, quello di oggi come quello di allora, ci appare tutto sbagliato, lontano anni luce da come dovrebbe essere.


Poco importa se, alla fine, appare dal buio più totale un sorriso tra le lacrime. Se si continua così, le lacrime continueranno a prevalere sui sorrisi. Tanti sorrisi, come presto quello di Andromaca, stanno già annegando.


Matteo Salmon, IE


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